Ma tu lo conosci il Bloody Sunday? Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario di uno degli avvenimenti storici più importanti del Nord Irlanda. Il racconto emozionante di Andrea Allaria, che il 30 gennaio ha preso parte alle cerimonie
Una profonda convinzione
La decisione di essere a Derry per il 50simo del Bloody Sunday la presi alla fine della mia prima vista nel 2016 quando, per una serie di conseguenze strane, conobbi Francesca, che ha causato un vero terremoto nel mio modo di approcciare le mie vacanze in Irlanda, approfondendo fatti storici e sociali che prima non mi appartenevano.
Bambino, davanti alla TV: le immagini di guerra
Da turista mordi e fuggi mi ha fatto diventare un amante di questo paese non solo dei paesaggi e della birra ma anche della loro storia e delle loro persone) e quando i ricordi di un bambino di 8 anni davanti alla televisione in bianco e nero che guardava le immagini che arrivavano dal Nord Irlanda e non capiva il perché di certe notizie, hanno preso forma e sono diventati carne, veri, presenti, con dei nomi e delle facce ben precise.
Il tour storico, la svolta
Quest’ultima presa di coscienza è nata facendo il tour Storico del Bogside con il figlio di uno delle vittime che spiegava per filo pe per segno quello che successe. Un vero pugno in faccia. Ha raccontato di condizioni di vita disumane, di negazione del lavoro, di impossibilità a poter esprimere il proprio voto perché non facevano parte di una certa categoria di persone o perché non erano proprietari della casa dove abitavano. Veniva loro negato la possibilità di essere uomini.
Un vero e proprio reportage
Andrea è troppo buono con me e conosce luoghi che io non ho ancora scoperto. Qui uno dei suoi video che potete trovare sull’Instagram di Zuppairlandese. Ma continuiamo ad ascoltarlo
https://www.instagram.com/p/ChaR_e2FRd-/
Un gesto di tenerezza in mezzo al dolore
Con questi antefatti, che hanno modificato di molto il mio modo di pormi davanti a tante cose, sono arrivato a Derry con la voglia di essere presente per “stare con loro”. Il sabato ho girato il lungo e il largo il Bogside arrivando fino a cimitero per andare a pregare e rendere omaggio alle vittime; ma anche un pensiero per chi ha causato tutto questo.
Prima di uscire ho alzato lo sguardo ed è comparso un arcobaleno. L’ho letto come un grande segno di speranza e di sollievo. Uscendo, invece, ho visto la moglie di Martin McGuinness sulla tomba del marito che la puliva e alla fine ha fatto quello che molti fanno un po’ dappertutto, dare una carezza e un bacio alla foto. Mi ha fatto molta tenerezza e lo dico anche se non riguarda il BS ma per certo riguarda la storia del Bogside.
La serenità di chi è dalla parte del giusto
Il Museo di Free Derry è stato in subbuglio per tutta la giornata: molti parenti erano presenti per far fronte alle tante richieste di interviste e alle tante persone presenti provenienti dall’Irlanda e dal Regno unito che come me hanno visitato il museo. Nella loro faccia si poteva percepire la serenità di chi è dalla parte del giusto, la consapevolezza che molto è stato fatto ma molto c’è ancora da fare, la voglia di coinvolgere le loro nuove generazioni per portare avanti la battaglia per arrivare a una fine giusta della storia.
Domenica, come 50 anni fa
Per una strana coincidenza il 30 gennaio di quest’anno cade di Domenica come 50 fa. In questi due giorni mi sono fatto spesso una domanda: cosa stavano facendo in quel giorno ad una certa ora le vittime, i loro familiari, gli organizzatori della marcia per i diritti umani,i paracadutisti.
Certamente vengo influenzato dalla visione del film “Bloody Sunday” e dalla lettura dei libri di Tony Doherty (figlio di Patrick che passò all’Ira dopo qualche anno e venne subito imprigionato per un tentativo di mettere una bomba in un negozio di Derry), ma la domanda riaffiora parecchie volte: mi impressiona sempre come si vada incontro al proprio destino senza che ce se ne possa accorgere e fare qualcosa per evitarlo o accettarlo. È capitato anche a me.
Il Bogside è un turbinio di persone di tutti i ceti. Molti si incontrano e si abbracciano. Noti un senso della comunità molto forte (particolarità molto presente in tutta Irlanda che a me manca molto a Milano). Molti sono vestiti per una grande occasione, altri invece invece come si vestono tutti i giorni. Mi guardo in giro e in un paio di occasioni sorrido perché mi sembra di avere davanti personaggi di “Derry girls” (ne abbiamo parlato su Zuppairlandese qui).
Impressioni
La marcia dei famigliari mi ha un po’ sconcertato nel senso che a volte molti sembravano in una scampagnata ma forse dipende da me e dalle mie aspettative. La celebrazione ha visto la partecipazione di molti rappresentanti delle diverse confessioni cristiane, di un rappresentante mussulmano e – assente giustificato – un rappresentante della religione ebraica. Tutti interventi molto significativi e coinvolgenti. Una musica struggente ha accompagnato le lettura dei nomi delle vittime, delle persone che sono rimaste ferite (iniziando da quelle decedute nel corso di questi 50 anni) fino a famigliari morti. Il fratello di Bernard McGuigan ha poi letto una nota dei famigliari in cui con forza diceva che il percorso verso la giustizia non è finito, e che si deve arrivare ad un processo in cui i paracadutisti vengano giudicati.
Alla ricerca della giustizia
L’ inchiesta Saville non basta. È stata sicuramente un passo enormemente significativo ma rimane zoppo se non si arriva ad un giudizio dei soldati coinvolti concludendo l’intervento con un deciso “We shall overcome!!”. Per quanto mi riguarda questo è stato il momento forte di questa due giorni.
Erano presenti anche il Taoiseach e il ministro degli esteri e presidente e … dello Sinn Fein che non hanno fatto discorsi ma solo deposto una corona di fiori. Inizialmente la cosa mi ha dato fastidio ma poi una amica di Dublino mi ha fatto presente che forse è stato detto loro di non dire niente per non appropriarsi di qualcosa che non era loro. In effetti giusto così.
Alla sera le strade di Derry erano silenziose come credo 50 anni fa. Allora però si piangeva nelle case.
Andrea Allaria