Non una cronaca, non un racconto. Un po’ di pensieri sul concerto di sabato 13 luglio. Perché alla fine c’entra l’Irlanda. In qualche modo.
Sabato 13 luglio 2024 sono andata a trovare un’amica americana. Una che mi ha aiutata a uscire dalla foresta. Di spalle, con il suo cappotto a scacchi e la sua treccia mi ha sussurrato: “vieni, insieme ce la possiamo fare”.
Lei non mi conosce ma sa che siamo in tante come me qui, sovrastate certo dalle canzoni cantate urlando da chi ha 15, 20 anni in meno di noi. Ma ci siamo.
“Tu come l’hai conosciuta?”.
“L’ho iniziata ad ascoltare durante la Pandemia”.
L’ha prodotta Aaron Dessner, di lui mi fido. E’ bravissimo a produrre voci femminili, lo ha fatto con tantissime. L’ho ascoltata. La prima è stata Invisible strings. Ho detto: “wow” e non l’ho più lasciata.
“Conosci Sharon Van Etten?”.
“No”. Non fa niente. Siamo qui.
“Non hai un braccialetto dell’amicizia? Ecco, prendi”.
Piange. Non ha avuto tempo per farne. Torna a casa alla fine del concerto, chilometri in bus.
La state prendendo in giro? Io no.
Le guardo e mi immagino l’attesa di queste ragazze, la loro vita di tutti i giorni, mi immagino le gioie e le fatiche. E le rispetto, tutte. Anche quelle che si fanno i video durante tutte le canzoni, rispetto la loro occasione mancata di ascolto. Cresceranno e capiranno.
Immagino i padri che sono qui con loro, le più piccole. Immagino quelli che sono rimasti fuori.
“Prof noi andiamo fuori dalla stadio, non abbiamo i biglietti, lo abbiamo chiesto come regalo di compleanno ai nostri genitori”.
“Lei che outfit ha? Noi Speak now e Reputation”.
“Io? A lot going on at the moment”.
Ho da fare. Il mantra dell’anno trascorso.
Mia madre mi ha aiutata a farli i braccialetti, io a quasi cinquant’anni non ho un minimo di manualità. Però sapevo mettere in ordine molto bene le lettere per comporre i testi delle canzoni. Quando le ho raccontato che la ragazza era felice ha sorriso, un po’ di nascosto. Ha capito, io lo so.
Ha capito che questa non è una questione di concerto. Questa è una questione di donne. Donne che esprimono e si esprimono. La nostra amica americana trova le parole per noi. Non è una dea e non vuole essere tale. E’ miliardaria, certo, ha messo su uno spettacolo terremoto, come quello con cui facciamo tremare lo stadio a Shake it off.
E il punto è proprio questo. Nel fare shake it off.
Catarsi e poi farsela passare. Ha del filosofico e a Cambridge qualche anno fa han trovato un frammento greco del sesto secolo che in sostanza dice la stessa cosa.
Cazzate? No, niente altro che la vita.
“Perché piangi?”.
Perché All too well non è una canzone, è un’epopea in cui in 10 minuti ognuno vede quello che sente o sente quello che vede.
Sì ok, fuck the Patriarchy.
Ma soprattutto you double cross my mind. E così sia.
Marjorie.
What died didn’t stay dead
What died didn’t stay dead
You’re alive, you’re alive in my head
What died didn’t stay dead
What died didn’t stay dead
You’re alive, so alive
In America una sera hanno tutte alzato le foto delle nonne alla fine della canzone. Qui a Milano stasera è un po’ passata di fretta.
Evermore e Folklore compresse per l’esigenza di arrivare a The Poets Tortured Department, che è il disco della female rage, sì, ma anche delle storie.
Trentuno canzoni, sei un’amica incontenibile cara Taylor. Che farai dopo questo disco? Sparirai per un altro anno, forse. You are so productive.
Ti ascolto, ma adesso devo tornare a quando siamo uscite insieme dalla foresta.
Ci hai detto che in un momento in cui tutti stavano fermi potevano viaggiare nel tempo. Un po’ come i poeti del Lake district. O il Sweet Nothing che ti ha ispirato l’Irlanda. Con te siamo stati in posti dove non potevamo andare. Meet me behind the Mall.
“Perché sei andata al concerto?”
Perché Taylor sa raccontare storie. Sa scrivere. Il mio lettore di inglese era affascinato da come scriveva.
Aaron Dessner quando parla di lei usa la parola songwriting.
Vorrei vederla comporre.
Chitarra o pianoforte, le canzoni al nucleo originale. Come nell’Acoustic session.
Stasera l’ha iniziata con The 1. Mai fatta voce e chitarra. Stiamo tutti zitti. E’ bellissima.
Quando sono uscita da San Siro ho camminato molto. Ho chiesto agli amici di uscire dalla folla, dai vestiti, dai braccialetti, dai padri e le madri, dai ragazzi e le ragazze.
Avevo una strana sensazione, mai provata prima.
Qualcosa che si collegava perfettamente con quello che vado dicendo da un po’ di mesi quando mi chiedono come stai.
Sto nella mia ontologia.
Ecco, non ho sentito adrenalina scorrere, non ho provato la mancanza di qualcosa appena siamo scesi dal finale dance floor di Karma.
Ho sentito di avere tutto quello che volevo. Il mio sweet nothing.
On the way home
I wrote a poem
You say, “What a mind”
This happens all the time.